Prendendo spunto da una ricerca svolta dal Foundations of Open Society tra un largo campione di cittadini di paesi molto diversi per interessi, alleanze e culture si evince che l’essere umano, mai come in questo momento, posto di fronte alle sfide del nostro tempo abbia atteggiamenti a volte solidali e di unione sociale altre protezionistici e individualisti.
La popolazione mondiale è di fatto a un bivio tra un mondo solidale e aperto alla cooperazione e un’altro in cui la globalizzazione lascia il passo al ritorno dei nazionalismi, in questo mondo che tempra le persone a suon di crisi energetiche, pandemie e venti di guerra gli abitanti di ogni latitudine si riscoprono genuinamente pragmatici ma anche solidali.
Il report “Prospettive globali di un mondo in crisi”
Nel rapporto “Prospettive globali di un mondo in crisi” Dataprixis e YouGov, tra il 22 luglio 2022 e il 15 agosto di quest’anno hanno collaborano per intervistare 21.413 persone provenienti da 22 paesi differenti su commissione della Foundations of Open Society.
Il rapporto stilato a sei mani dalle tre società mirava a capire come gli intervistati percepissero il mondo e cosa significasse per loro e per le proprie famiglie vivere in questi tempi vessati dagli eventi più impattanti dalla seconda guerra mondiale ad oggi.
In tutto il mondo, le persone hanno una comprensione dei problemi che tutti presto o tardi ci troveremo ad affrontare o peggio stiamo ancora affrontando (dai cambiamenti climatici all’inflazione, dalla pandemia COVID-19 all’invasione dell’Ucraina) molto trasversale e profonda anche se, si approcciano in maniera diversa a seconda dell’estrazione sociale, la provenienza e la convenienza di ciascuno di esse.
Tra gli intervistati in questo sondaggio risultano persone provenienti da 5 Paesi che compongono il G7 come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, il Giappone e gli Stati Uniti d’America ma il campione è ampio e variegato e racchiude anche paesi dell’Asia come l’India, dell’Africa subsahariana come la Nigeria, Egitto o Arabia Saudita, l’est Europa con Polonia, Moldavia e la martoriata Ucraina, la Turchia a sud ma anche il Giappone e il Sud Africa o il Brasile in America Latina.
Quando le sfide da affrontare oppure i problemi che affliggono le popolazioni sono comuni e non conoscono latitudine o longitudine, gli intervistati hanno mostrato percentuali simili nelle risposte alle domande poste sul campo dai collaboratori di YouGov (che ha seguito la capillare raccolta dei dati).
Le analisi dei dati raccolti dallo studio
L’imponente mole di dati che ha generato il rapporto di cui sopra, ha messo in luce che, per quanto riguarda argomenti come l’inflazione ad esempio, la pandemia di COVID 19 o l’approvvigionamento di materie prime, le risposte degli intervistati non sono dissimili le une dalle altre ad eccezion fatta per la Turchia limitatamente al tema del CPI.
Il Paese di Erdogan ha superato ampiamente il 70% di inflazione ma la popolazione convive da decenni con questo annoso problema e la considera quasi fisiologica, da qui una maggiore tolleranza verso il problema che per il 50% della popolazione locale non è tra i più grandi che affliggono il pianeta e quindi non è da considerarsi una priorità.
In un mondo che viaggia spedito verso un periodo ad alta inflazione (che è già qui) con il Kenya in cui è arrivata all’8,3%, il Regno Unito in doppia cifra e la Turchia ad un clamoroso 79,6% con un aumento dei prezzi al consumo del 175% rispetto all’anno scorso la metà degli intervistati (49%), ritiene che questo sia tra i problemi principali che ad oggi affliggono il mondo e forse quello che più impatta sulla vita reale delle persone poiché tocca il portafoglio di queste (un quarto lo ritiene il problema principale).
L’attenzione nei confronti del carovita è altissima in alcuni paesi, in particolare in quelli in cui i redditi sono alti come ad esempio Singapore (76%), Gran Bretagna (70%), Francia (58%), Germania (45%) e Giappone (46%) ma ci sono delle eccezioni rappresentate ad esempio dalla Polonia (57%) e dalla Serbia (58%).
La Turchia, invece, nonostante l’iperinflazione che la colpisce e i prezzi dei beni primari schizzati alle stelle, non trova l’inflazione un problema da affrontare di petto mostrando una grande resilienza e probabilmente una assuefazione dovuta da anni di convivenza con il problema.
Un problema che da tutti viene considerato uno tra quelli apicali è il sollevarsi crescente di venti di guerra e in taluni casi di vere guerre nelle parti più disparate.
I potenziali risvolti macroeconomici
Gli scenari più preoccupanti per l’importanza geopolitica e macroeconomica che ricoprono sono quello Russo-Ucraino nell’Est dell’Europa e la questione di Taiwan a confine tra Cina e Stati Uniti, anche, ma non solo, perché il piccolo paese è il maggiore produttore al mondo di chip che servono alla produzione del 90% della tecnologia nel pianeta (automotive, PC, Telefonia, aerospaziale, militare ecc) e quindi soggetto molto ghiotto sia per il Dragone che per New York.
Nelle 24 pagine redatte si evince come in tutto il mondo, le persone sono più unite e progressiste dei propri leader, c’è una coscienza globale che invita a miti consigli di pace e a non camminare pericolosamente sul crinale dei nazionalismi per il bene comune ovvero la pace e la stabilità.
Dall’inchiesta svolta risulta come il problema più sentito dai popoli di tutti gli stati oggetto di intervista è il cambiamento climatico seguito da problemi economici, dalle pandemie e dal conflitto in Ucraina.
L’opinione comune è che il mondo stia camminando a passi spediti verso problemi che possono diventare irrisolvibili se non presi in tempo ma c’è anche la percezione che sia giunto il momento storico e sociale di cambiare marcia, prendere coscienza delle cose e reagire prontamente.
Gli intervistati del report
L’83% degli intervistati in Messico, il 64% dei senegalesi e il 56% delle persone intervistate in India, temono che le proprie famiglie possano arrivare a soffrire la fame molto presto, lo stesso vale per i due quinti degli Americani, e il 26% degli abitanti del Regno Unito.
Secondo quanto si evince dal rapporto periodico delle Nazioni Unite tra Africa, Asia ed America Latina circa 90 Paesi rischiano in maniera grave una crisi alimentare, energetica e finanziaria senza precedenti.
Il tema economico è un altro grande problema ed è molto sentito, lo Sri Lanka quest’anno è andato in default stile Grecia o Argentina e si teme che almeno un’altra dozzina di paesi possano condividerne il destino, tra questi, neanche a dirlo, c’è l’Italia che pur non essendo oggetto del rapporto di Open Society è sotto attacco speculativo dai grandi fondi di investimento che shortano il paese ovvero vi scommettono contro.
Il grande debito contratto nel tempo dal Paese, un rapporto debito/PIL ben oltre il 150% e un’inflazione del 9% che mette a dura prova il tessuto sociale il paese è preso di mira e se non venisse la BCE in soccorso la situazione potrebbe avere risvolti catastrofici.
In Paesi come Francia, Gran Bretagna, Germania, Giappone e Stati Uniti, i cittadini sarebbero disposti a devolvere un 2% del bilancio nazionale a un fondo di solidarietà volto al sostegno dei paesi in palese difficoltà, meno virtuosi o a rischio default, la stessa percentuale permise alla fine della seconda guerra mondiale all’America di essere determinante nella ricostruzione dell’Europa.
L’ONU riporta come 1,7 miliardi di persone, in sostanza una cifra molto vicina a un terzo di tutta la popolazione del pianeta sia a rischio povertà e fame, le crescenti pressioni fiscali dovute a mancate entrate nel periodo pandemico, la difficoltà del tessuto produttivo a lavorare a causa della crisi delle materie prime e un calo della domanda ampiamente comprensibile vista l’inflazione devastante e il caro energia portano le persone sull’orlo del baratro.
Le idee del FMI e dell’ONU
Secondo il Fondo Monetario Internazionali (FMI) il 60% dei Paesi nel mondo ha problemi di debito pubblico preoccupanti che potrebbero innescare default a catena che non renderebbero immuni nemmeno economie solide come quella statunitense o Cinese.
In vista della 77 conferenza annuale delle Nazioni Unite prevista a settembre, la Foundation of Open Society, nella ricerca, ha riscontrato come i cittadini dei paesi intervistati (che come abbiamo detto precedentemente provengono da estrazioni differenti e da ogni parte del globo) non abbiano molta speranza nel futuro che vedono incerto e pericoloso anche in relazione alla scarsa volontà dei Paesi di cooperare per un futuro migliore.
Il cambiamento climatico guida le priorità delle persone coinvolte nel rapporto con il 36% delle risposte, tra questi troviamo paesi come la Francia, la Germania, la Serbia e la Gran Bretagna mentre il 28% ritiene che sia la guerra tra Russia e Ucraina il maggior pericolo per l’umanità e quindi la situazione verso la quale rivolgere attenzione e impegno.
L’80% degli intervistati tra i Paesi dell’America Latina e il 77% di quelli Africani si sente preoccupato per la propria famiglia e teme che questa soffrirà la fame, il problema è ovviamente meno sentito in Europa ed America ma colpisce che un 39% se ne preoccupi segno che nessun luogo della terra oramai è immune e che tutti devono oramai preoccuparsi di tutto in un mondo così interconnesso.
Conclusioni
Infine, il sondaggio si è concentrato sulla risposta che le organizzazioni globali danno ai problemi del mondo ed è emerso come il 76% degli intervistati abbia apprezzato la risposta data dall’Europa al problema meno quella data dall’ONU e dai paesi del G7 dai quali si aspettavano una risposta più forte.
Quasi tutti i Paesi sono concordi in una forte condanna dell’operato russo che ritengono per lo più un vezzo storico di una ex potenza coloniale nei confronti di una ex colonia.
L’Europa Occidentale e gli Stati Uniti inoltre mostrano un diffuso pessimismo verso il futuro del mondo certificato da un pesante 63% e 65% tuttavia c’è grande voglia di coesione quando leggiamo che l’83% del totale degli intervistati spera in una maggiore coesione e collaborazione globale per affrontare i problemi comuni.
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